Donne e lavoro: nuove criticità o nuove consapevolezze?
- by Segreteria ADGI
- 20 mag 2022
In questi giorni abbiamo sentito molto parlare di donne.
Si è parlato delle donne e di lavoro, di donne e molestie, di donne e valore.
Non argomenti nuovi, certo, ma nuove criticità.
La prima riflessione è di tipo sociologico e prende spunto da alcune recenti polemiche: davvero in Italia le donne dopo i 40 anni “hanno già fatto i figli” e quindi sono “libere” di lavorare “come un uomo”?
Partiamo dal primo assunto e facciamo una prima importante considerazione: le donne in Italia non sono nelle condizioni di poter pensare serenamente di mettere al mondo dei figli.
E ciò è un dato ricavabile agevolmente pensando al tasso di natalità in costante calo in Italia[1]
In primis dovrebbe essere superato il retaggio culturale che vede le donne dedicate interamente - e sole - alla cura della famiglia: “la donna è capace di gestire la famiglia e la casa, l’uomo no”, si dice.
Sappiamo che non è così, che è solo uno schema, una convenzione tra consociati che per troppo, troppo tempo è rimasta espressione del dualismo patriarcale “uomo – lavoro” e “donna – famiglia”.
L’uomo italiano al pari degli uomini svedesi o finlandesi, tanto per citare qualche esempio virtuoso, è capacissimo di prendersi cura della famiglia e della casa, bisogna solo dargliene l’opportunità.
Ad esempio prevedendo il congedo parentale obbligatorio che, dal 2022 in maniera definitiva, è di 10 giorni fruibili entro il quinto mese dalla nascita del figlio. Migliorabile? Certamente.
Ma non basta, bisogna anche prevedere strutture di supporto per tutti, a prescindere dal reddito, come gli asili nido (in Germania, ad esempio, il posto nell’asilo è garantito per tutti).
A questo quadro si aggiunge la difficoltà delle donne ad essere impiegate, in quanto “potenziali mamme”, oppure di ricevere uno stipendio allineato a quello dei colleghi uomini.
Per non parlare delle donne libere professioniste che devono lavorare il doppio (anche in termini di tempo) per raggiungere la stessa credibilità professionale che all’uomo è concessa per genere.
Quindi le famiglie si formano sempre più tardi e i figli si fanno quando le “condizioni” lo permettono, intendendo per condizioni un reddito dei due genitori sufficiente a far fronte alle spese per la gestione del figlio (asilo nido privato se non si rientra in quello pubblico – e basta poco -, baby sitter, ecc.).
E a rinunciare al lavoro o a chiedere i congedi nel corso della vita del figlio è quasi sempre la madre, proprio perché i suoi redditi sono statisticamente più bassi di quelli di un uomo.
Stando così la situazione, l’assunto che vuole le donne di 40 anni già madri libere dalla gestione del figlio neonato, non è poi così vera purtroppo.
Così come, per le ragioni illustrate, la donna non lavorerà, comunque, “come un uomo” posto che i suoi compensi sono ancora di circa il 40% inferiori a quelli di un collega uomo.
Forse la legge sulla c.d. “parità salariale” (legge 5 novembre 2021 n. 162 “ Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”), entrata in vigore il 3 dicembre 2021, potrà cambiare questo panorama. Vedremo.
Merita una riflessione, perché davvero interessante, il punto di vista suggerito dalla giornalista Daniela Hamaui sulle pagine del quotidiano La Repubblica, “Fare figli è come un master”, che ribalta i principali stereotipi non solo sul fatto che la maternità venga ancora considerata dalle aziende italiane come un terribile peso, ma anche sulle qualità che un lavoratore o una lavoratrice dovrebbero possedere per essere ritenuti qualificati:”. E così “soft skill”, “decision making”, “human resources” diventano i settori strategici dove le madri dovrebbero essere considerate più qualificate per la straordinaria esperienza che acquisiscono nella crescita di un figlio.
Dunque la polemica sulle donne che in questi giorni ha animato le discussioni social è espressione non tanto di una nuova criticità, ma di una nuova consapevolezza.
E’ anacronistico pensare una società civile che non preveda un ruolo per la donna analogo a quello di un uomo.
E’ dimostrato che una partecipazione egualitaria della donna non solo alla vita pubblica e politica, ma alla compagine produttiva può dare una spinta propulsiva allo sviluppo del Paese.
Ma ci vogliono sempre le leggi a imporci il cambiamento perché l’Italia è ancora quel Paese dove una molestia è una questione di… “maleducazione”.
[1] “nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi 10 mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica. (…) La denatalità prosegue nel 2021. Secondo i dati provvisori di gennaio-settembre le minori nascite sono già 12 mila 500” fonte: https://www.istat.it/it/archivio/264643